Innamorarsi è un’esperienza sempre molto emozionante ed entusiasmante. Fa sentire felici, fortunati, importanti e dà molta sicurezza. La possibilità di condividere con una persona la nostra vita, il nostro tempo, la nostra intimità, è un’iniezione di fiducia. La prima fase di un’incontro d’amore, in genere, è sempre costellata da un grande desiderio di conoscersi e di passare molto del nostro tempo insieme alla persona che abbiamo avuto la fortuna di trovare.
Questa prima tappa può essere più breve o più lunga, ma è già un indice importante del “destino” e della possibile riuscita della relazione. In genere la durata ideale della fase dell’innamoramento è di nove mesi, un po’ come una gestazione. Ci si
conosce, ci si idealizza molto, si tende a portare l’attenzione su ciò che ci piace dell’altro, e tutto di lui ci appare perfetto, idilliaco e corrispondente ad ogni nostro desiderio.
Quando la relazione fin da subito comincia a colorarsi con tinte fosche e oscure, allora questo andamento potrebbe segnalarci una disarmonia che difficilmente sarà recuperabile. Spesso questi incontri non del tutto soddisfacenti, colmano dentro di noi l’esigenza profonda di non voler restare da soli, il bisogno di comunione, di unione e di sicurezza, che rispecchia un’esigenza infantile non del tutto superata. In altri casi la necessità è di uniformarsi alle richieste sociali, all’allontanarsi dalla famiglia di origine, magari già di per sè disfunzionale. Quindi, piuttosto che essere trainati da una sana esigenza di condividere la nostra individualità per arricchire la nostra esperienza e la nostra apertura verso il nuovo, tendiamo a dover colmare, magari in modo del tutto inconsapevole, la nostra solitudine e insicurezza. Sto facendo riferimento al vuoto e allo sconforto che proviamo spesso nell’essere soli e non coinvolti in una coppia. Quando infatti è questo che ci muove, rischiamo di rimanere incastrati in rapporti insoddisfacenti, che non corrispondono alle nostre reali ambizioni ed esigenze, ma colmano soltanto la mancanza che sentiamo dentro, e questo non ci permette di lasciarci alle spalle relazioni inadatte a chi sentiamo di essere realmente.
Ciò che accade in queste situazioni, tuttavia, è il preludio di un’infelicità che spesso approda in un matrimonio e nella peggiore delle ipotesi che dà nascita ad una prole. I figli allora cominciano la propria esistenza in un ambiente spesso freddo, non accogliente e non amorevole. L’ulteriore difficoltà, in questo caso, è di interrompere un’apparente unità che spesso ci fa sentire ulteriormente inadeguati, a questo punto anche come genitori, oltre che come componenti di una coppia. Il timore di rendere i figli ancora più infelici e traumatizzati, spinge molte persone a prolungare relazioni insoddisfacenti, che creano una grande afflizione interiore in tutto il nucleo famigliare. Questa situazione di insoddisfazione porta ad allontanare emotivamente i due componenti, generando sentimenti spiacevoli, mancanza di rispetto o, in casi estremi, la ricerca di relazioni clandestine, che non fanno altro che aumentare il disagio e l’allontanamento dai nostri veri desideri, alienandoci dalla possibilità di vivere nella sincerità e nell’autenticità.
Spesso non si prende in considerazione la possibilità che esista una via alternativa. Chiedere un supporto, una mediazione ad un professionista, potrebbe essere l’opportunità di riconquistare una vicinanza o una chiarezza nel prendere la giusta decisione.
Le due persone all’interno della coppia rappresentano due onde, che possono unirsi creandone una molto più ampia e potente, o viceversa possono distruggersi a vicenda. Non esiste la via di mezzo: o ci si potenzia o ci si annulla. Trascinare una relazione inconcludente è un modo per inchiodare la propria vita, spesso per paura dell’ignoto, senza accorgersi che proprio lo sconosciuto ci può aprire nuovi orizzonti.
Non è assolutamente semplice accettare di non riuscire a creare un rapporto costruttivo con chi abbiamo magari amato nel nostro passato, ma prima di prendere qualunque decisione o di arrendersi a una vita insoddisfacente, una consulenza e un percorso di coppia possono davvero fare la differenza. In questo tipo di confronto mediato, i due protagonisti possono riuscire a affrontare le personali difficoltà nel relazionarsi con il compagno, trovando un alleato che possa amplificare e tradurre il proprio bisogno insoddisfatto in un linguaggio comprensibile per l’altro. Diventa altresì possibile ricevere con moderazione e mediazione le richieste dell’altro, che nutre verso di noi insoddisfazione per ciò che desidera e che non ottiene. In questo modo, riuscendo a mettersi nei panni altrui, si può comprendere l’effetto dei propri comportamenti automatici, che di solito involontariamente, generano infelicità, disattenzione, disinteresse, trascuratezza e allontanamento.
Prendersi cura della coppia, e dei singoli nella coppia, può davvero creare la differenza nella costruzione di uno spazio di relazione, che è qualcosa di “altro” rispetto agli individui coinvolti. La relazione infatti è uno spazio diverso dai due mondi che si incontrano, è una nuova entità che deve essere nutrita e coltivata, con cura e attenzione, con rispetto e autonomia. Darsi questa possibilità potrebbe essere davvero la chiave per poter aprire quello spazio di unione degli intenti delle singole unità, che permette di godersi appieno la meravigliosa occasione che offre la vita insieme.
Stare in relazione è qualcosa che si impara e che può essere migliorato, ma fa parte di quegli ambiti nei quali ognuno cresce pensando di dover essere capace al di là di un apprendimento. Questa è una credenza molto pericolosa. che ci impedisce di accedere a delle opportunità che possono fare la differenza nella nostra vita e, per chi li ha, in quella dei figli.